Bitter: un nome, un destino.
La più iconica tra le bevute care al consumatore britannico. E un profilo sensoriale che, accanto a tanti altri elementi identificativi, si condensa però soprattutto in quell’aggettivo sostantivato: Bitter ovvero amara.
Ma lo è poi così tanto, amara, la tipologia di cui parliamo? Più che tanto in assoluto lo è di più rispetto a un parametro di rifermento preesistente: quello delle English Pale Ale, le alte fermentazioni ambrate comparse sulla scena del Regno Unito tra metà Seicento e inizio Settecento.
Prima di allora, la cottura dei cereali da impiegare in ammostamento si eseguiva a fiamma diretta, dando luogo a tostature assai pronunciate e, per conseguenza, a pinte dal colore piuttosto scuro. Con l’entrata in scena, appunto a metà XVII secolo, del forno a getto d’aria, si diviene in grado di preparare malti assai più chiari: e allo stesso modo le birre che, da essi, traggono vita. Talmente più chiare, rispetto alla media, da essere battezzate con l’appellativo di pallide: le Pale Ale, come detto. Ora, lungo tutto il Settecento Le Pale Ale (che sono figlie di una tecnologia nuova, dunque costosa: e perciò costose esse stesse) conoscono una diffusione non dilagante; ma destinata a diventare tale con l’abbassamento, via via lungo i decenni, del loro prezzo di produzione. L’Ottocento ne decreta l’esplosione come fenomeno di mercato: anche attraverso la bottiglia in vetro, da sorseggiare a casa e non più esclusivamente al pub, dove la tecnica di spillatura a pompa espone le botticelle a veloci processi d’ossidazione. Per ovviare a questo inconveniente, s’impone la necessità di elaborare una variante della Pale Ale in grado di meglio adattarsi agli stress implicati, allora, dalla somministrazione al bancone. Una versione più leggera in grado alcolico (cioè più veloce da smerciare) e con un livello proporzionale di luppolatura più incisivo, sia al naso sia al palato. Sì, lo avete capito, quella variante avrebbe ricevuto (per quanto appena detto) il nome d’arte di Bitter: da allora lo stile brassicolo inscindibilmente associato all’ambiente del pub.
Le evoluzioni succedutesi dalla metà XIX secolo in avanti ne hanno articolato il perimetro stilistico in tre sottocategorie: Ordinary Bitter (3,2-3,8 gradi), Best Bitter (3.8-4.6), Strong Bitter (4,6-6,2). Tutte, in ogni caso, unite da comuni denominatori: al naso note di biscotto, nocciola, mela, rizomi e matita; al palato un corpo leggero, una chiusura asciutta, una parabola amaricante di timbro terroso e dalla lunga persistenza. In più, la possibilità di giocare con moderate quantità di luppoli statunitensi (o comunque nuovomondisti), così da conferire sfumature olfattive di carattere fruttato esotico o resinoso o agrumato.
È il caso della Meridiano Ø, così chiamata in omaggio a quello di Greenwhich, che taglia l’area urbana di Londra. Tra le prime nate nella scuderia del Forte, presenta un colore ambrato; una aroma intonato alla crosta di pane ben cotto, alla frutta secca, a lievi tocchi di mandarino; un assetto gustativo che punta al bilanciamento tra le morbidezze iniziali e la chiusura amaricante; una gradazione baricentrica, fissata a quota 5%. La nostra idea di un pub… concentrato in bottiglia.