Pinte senza glutine: una nuova frontiera dell’esperienza produttiva brassicola sulla quale, a livello internazionale e anche da noi in Italia, si sta lavorando da qualche anno con continuità, sempre più intensamente (com’è logico che sia, alla luce delle proporzioni assunte sia dalla celiachia vera e propria sia dalle forme di sensibilità intestinale ad essa paragonabili, benché non integralmente assimilabili); e sempre più convintamente, a fronte dei risultati ottenuti sul campo, valutando i quali si può oggi, con assoluta certezza, affermare che una birra non contenente glutine è una bevuta a cui, non per questo, manca qualcosa sotto il profilo della qualità e del pregio organolettico.
Proprio perciò, ecco che Il Forte ha voluto dedicare al tema questo breve approfondimento, anzitutto per chiarire alcuni aspetti fondamentali della questione.
La celiachia, per cominciare, cos’è?
Si tratta di una patologia (con sintomi intestinali, dolori addominali, stanchezza, dimagrimenti, ritardi nella crescita in statura e altri ancora) la cui insorgenza è connessa, in persone geneticamente predisposte, all’ingestione di glutine: ovvero la componente proteica solubile in alcol di cereali quali frumento, orzo e segale; insomma, una faccenda che investe la birra in modo frontale.
Ora tuttavia, per fortuna, la suddetta frazione proteica può essere esclusa dal processo di brassaggio o espulsa nel corso di esso, attraverso diverse soluzioni procedurali.
Una di esse prima consiste nell’utilizzare materie prime naturalmente prive delle sostanze incriminate: cereali quali sorgo, miglio, riso, mais; o semi di altro genere come il grano saraceno (in effetti non un cereale, bensì una poligonacea); in questo caso, tuttavia, occorre sottolineare come, per la legge italiana, una bevanda, per essere commercializzata come birra, debba essere prodotta a partire da un mosto contenente almeno il 60% di malto d’orzo o frumento.
Una seconda opzione è quella di far ricorso, in fase di fermentazione del mosto, all’aggiunta di opportuni enzimi, capaci di disgregare le proteine da rimuovere.
Una terza strada praticabile è quella consentita da una fisiologica capacità del luppolo: le cui resine amaricanti, durante la bollitura, si combinano con le proteine di cui stiamo parlando, formando coaguli a loro volta destinati a sedimentare sul fondo della caldaia di ebollizione e quindi a essere eliminati nelle fasi di filtrazione del mosto prima della sua fermentazione. Ecco, questa terza fattispecie è assai interessante: perché talvolta accade che una birra si riveli a basso tenore di glutine o addirittura assente, anche senza essere stata progettata in tal senso.
Il punto focale, ai fini di una messa sul mercato effettuata in piena coscienza e con tutte le attestazioni del caso, è procedere attraverso un iter che comporta l’effettuazione di specifiche analisi. Le quali, eseguite da laboratori specializzati, hanno l’obiettivo di stabilire la quantità di glutine rilevata: in base al Regolamento UE 828/2014, se il valore risulta inferiore alle 20 ppm (parti per milione), quella birra potrà essere dichiarata senza glutine; se risulta tra le 20 e le 10 ppm potrà essere dichiarata prodotto a basso contenuto.
Nel catalogo del Forte, tre le referenze classiche (quindi sfornate continuativamente nel corso dell’anno) che sono provviste di caratteristiche tali da renderle inclini a presentare valori del genere; e che perciò, lotto per lotto, vengono sottoposte a controlli per poi, eventualmente, essere confezionate come gluten-free. Si tratta della Gassa d’Amante (Golden Ale da 4.5 gradi), della Meridiano Zero (Bitter da 5 gradi) e della 2 Cilindri (Porter da 5 gradi); gustose e… virtuose: un binomio vincente!