A pensarci bene, ogni birra è un viaggio.
Lo è anzitutto in senso fisiologico: perché l’esperienza organolettica di una bevuta inizia con lo sguardo, apprezzando, del bicchiere che si ha di fronte, il colore e la schiuma; prosegue poi con l’immersione del naso nei suoi profumi; e si compie consegnando il palato all’assaggio, lungo il quale seguire le variazioni di direzione della corsa gustativa, fino a misurare la durata e l’impronta della sua persistenza dopo la deglutizione (aah, che bellezza…).
Ma una birra è un viaggio anche in termini più profondamente metaforici: infatti porta con sé una storia (quella del guizzo creativo che ne ha determinato la nascita); persegue una missione (diversa in funzione del proprio temperamento sensoriale come del suo obiettivo di mercato); e infine è destinata, nell’incontro con quello che sarà il proprio pubblico di affezionati, a suscitare passioni, a facilitare incontri, a generare episodi e aneddoti. Ecco, allora: ogni birra ha in sé un racconto e perciò, appunto, un percorso, dunque un viaggio. Ma non solo; di un viaggio, può anche ispirare l’idea: in virtù, magari, di alcune sue peculiarità e del loro potere evocativo.
Riflessioni, state pensando, un po’ svolazzanti? Forse: eppure è bello svolazzare attorno alle mille suggestioni che scaturiscono, ad esempio, nel sorseggiare una Thekla, la nuova American Ipa del Forte, dorata all’occhio e misurata nel grado alcolico (siamo a 5.7); frutto di una ricetta ruotante attorno all’impiego di diversi luppoli statunitensi, tra cui i ben noti Citra e Mosaic, più una varietà sperimentale, priva ancora di designazione commerciale e identificata da un codice: HBC 586. Una stringa alfanumerica che, a pronunciarla, non sa un po’ di fantascienza? Ebbene, in effetti l’associazione sta in piedi. Basti pensare allo spunto d’invenzione dal quale trae origine il nome stesso della Thekla: che ricalca quello di un asteroide; scoperto nel 1906 e gravitante, attorno al sole, entro la cosiddetta “fascia principale”, regione occupata da numerosi corpi di forma irregolare, la cui orbita si colloca più o meno tra quelle di Marte e di Giove. Come dire: volevamo una birra stellare nella spinta olfattiva e nell’assortimento iridescente degli aromi; e così siamo stati conseguenti nel suo battesimo.
Ma qual è la meta verso la quale può invitarci una pinta del genere? Beh, senza dubbio quella di un planetario! Ovvero una struttura (diversa dall’osservatorio, che fa perno attorno a uno o più telescopi), costruita appositamente per proiettare l’immagine della volta celeste su una superficie emisferica collocata in alto, rispetto ai visitatori. Insomma, un’illusione ottica: ma di grande fascino e (di nuovo) di potente suggestione. In Italia ce ne sono di molto belli: tra essi, in Friuli Venezia Giulia, abbiamo quello interattivo di Trieste, l’Immaginario Scientifico, adatto a tutte le età; e in Alto Adige quello di San Valentino in Campo, chiamato Astrovillaggio e collegato, nella vicina Collepietra (entrambe sono frazioni del comune di Cornedo all’Isarco), a speciali strutture ricettive tutte realizzate seguendo il tema grafico della scoperta delle stelle.
Planetario chiama Thekla: mandar giù fresca e… pronti al decollo!