“Degustare”… Una parola che, da parte degli addetti ai lavori (un po’ tutti, noi compresi) si tende a caricare di un’enfasi non solo ingiustificabile, ma anche (e in parte proprio per questo) decisamente poco simpatica. E invece si tratta di un esercizio che si colloca all’opposto rispetto a tutto ciò: contiene in sé un obiettivo assolutamente pratico (altro che “spettacolino teatrale”); e, se si ha chiaro tale obiettivo, riveste un valore di concreta utilità.
Qual è dunque la finalità vera del degustare? Semplice: quella di consentire, a chi vi si dedica, di passare da un’esperienza di “assaggio inconsapevole” – quella in cui ci si ferma al dato di fatto per cui, di una birra (o un vino o un formaggio o un salume…), si possa dire “mi piace” o “non mi piace” – a un’esperienza, invece, di “assaggio consapevole”: quella cioè a consuntivo della quale si capiscono i motivi per cui un prodotto sia piaciuto o meno.
In sostanza, anziché limitarsi ad attendere il risultato di sintesi fornito, in automatico, dagli organi e dagli strumenti preposti alla raccolta e all’elaborazione dei dati sensoriali (il “mi piace” o il “non mi piace”, appunto), si effettua un lavoro di scomposizione di quel risultato finale in diversi risultati parziali; frutto, questi ultimi, di un’attività di analisi (esattamente il contrario della sintesi) incentrata sulle varie sfere della percezione: nel caso della birra si parla di esame “visivo”, esame “olfattivo” ed esame “gustativo” (il terzo stadio esteso, in realtà, anche ad aspetti di altro genere: tattili, quantomeno).
L’esame visivo, prende in considerazione, di una birra, gli elementi estetici: colore, limpidezza, trasparenza, schiuma (valutandone l’abbondanza, la persistenza, la finezza e, anche nel suo caso, il colore).
L’esame olfattivo indaga, di una birra, l’espressione aromatica: intensità, eleganza (con verifica degli eventuali difetti), descrizione delle varie componenti del suo ventaglio olfattivo (panificazioni, note mielate, fruttate, speziate, erbacee e tutti gli altri temi possibili).
L’esame gustativo esplora, di una birra, le qualità rilevabili al palato: l’intensità, la persistenza post-deglutizione, i valori che manifesta in ordine ai singoli gusti fondamentali (dolce, acido, salato, umani, amaro) e quelli legati alle impressioni (lo si è anticipato) di tipo tattile (corpo, effervescenza, eventuale calore alcolico, eventuale astringenza e così via).
La tappa d’arrivo è rappresentata dal giudizio circa l’equilibrio di una birra: ovvero la propria capacità di esprimere gradevolezza attraverso il livello (più o meno elevato) di bilanciamento. Ed è chiaro che una valutazione simile può essere compiuta sia in senso assoluto (ponderando solo il grado di piacere che il sorseggio procura, senza altra considerazione); sia in senso “parametrico” (tenendo conto, cioè, della “tipologia” alla quale il prodotto in questione dichiara di richiamarsi: perché una Pils è per propria natura diversa da una Stout, così come questa lo è da una Saison, mentre una Saison lo è da una America Ipa e così via).
Ciò detto, come si apprende la tecnica dell’assaggio analitico? Semplice anche questo; nel modo migliore: bevendo! Certo, occorre farlo con metodo. E per questo al Birrificio del Forte avremo in autunno un programma di percorsi formativi specificamente pensati allo scopo. Seguiteci!