Un’estate al mare, cantava anni fa (era il 1982, la Nazionale italiana di calcio vinceva il suo terzo Mondiale) la voce cristallina di Giuni Russo, dando forma sonora, con la sua interpretazione, alle musiche modellate da Giusto Pio e alle parole ricamate da Franco Battiato. Un brano moderno, certo, che però è diventato un classico: rendendo indimenticabili tre figure (quelle degli autori appena citati) che purtroppo non sono più tra noi, nessuno dei tre, ma la cui compagnia ci affianca sempre nel momento in cui si pensi – per citare direttamente il brano di cui si sta parlando – a una vacanza in pieno “stile balneare”.
Ed è confortante questo senso d’intramontabilità pur nella natura transitoria del vivere: quell’immunità allo scorrere del tempo che (forse non è un caso) appartiene anche all’oggetto stesso del testo reso indimenticabile da Giuni Russo: la villeggiatura in riviera. Una modalità di trascorrere i propri giorni di riposo dal lavoro che è scolpita nell’immaginario collettivo, e nelle aspettative, degli italiani, fin da quando le famiglie – si pensi a certe immagini immortalate nelle cartoline in bianco e nero o nelle riprese dei cinegiornali – hanno iniziato ad avere la possibilità di spendere qualche giorno o qualche settimana rinfrescandosi nelle acque che lambiscono i circa 7500 chilometri di costa naturale il cui srotolarsi disegna il profilo della nostra Penisola.
Una frontiera mobile e cullante, quasi ipnotica (la battigia, l’andirivieni delle onde e della risacca), lungo la quale poter dare sfogo a un ampio ventaglio di attitudini: l’abbronzarsi su un telo come la lettura di un libro sotto l’ombrellone; il passeggio sulla sabbia bagnata come i giochi col pallone (dove consentiti); la nuotata verso “dove non si tocca” come le immersioni subacquee tra gli scogli; l’innalzare castelli di sabbia come il cimentarsi con windsurf, kitesurf o canoe; le uscite sul pattino come quelle con barche a vela e motoscafi. Alla fine, lo sappiamo (è un’equazione alla quale non si sfugge), al mare si va per staccare dalle fatiche del lavoro… E però ci si stanca allo stesso modo, se non di più. Ma è una stanchezza diversa, sappiamo bene anche questo. Una stanchezza fisica, dalla quale ci si può riavere facilmente; anche quando ci sono di mezzo il caldo e le conseguenti sudate. Ecco, in quel caso, regola numero uno, reintegrare liquidi e sali minerali. Perciò, tenere sempre a portata di mano l’acqua; e anche, come previdente alternativa, qualche sorsata altrettanto tonificante. Ad esempio? Ma una bella birra artigianale, fresca e poco alcolica: l’ideale per fare il pieno di gusto e non di calorie.
Ecco, nella “cartuccera” del Forte, di etichette ideali per questa “bisogna” ce ne sono diverse. Ma forse una in particolare è quella che più evoca l’idea di un panorama litoraneo e che meglio, per la sua costruzione tipologica, va incontro alla voglia di dissetarsi con leggerezza: la Cento Volte Forte, nostra interpretazione del canone Bière Blanche (o Witbier), lanciata nel 2014 per celebrare i 100 anni dall’elevazione (nel 1914) della cittadina di Forte di Marmi allo status amministrativo di Comune. Un bicchiere attento alla linea (4 i gradi alcolici); prodotta anche con frumento crudo di varietà antiche (Frassineto, Gentil Rosso e Verna); profumata con luppoli sia tradizionali sia modernisti (Perle, Saaz, Galaxy, Polaris) e con spezie quali coriandolo, scorza d’arancia e bergamotto calabrese. Una bevuta iconicamente estiva: e abbinata – tra l’altro – a piatti anche di pesce. Insomma, prima di salire in auto, controllare bene di avere in borsa frigo una buona scorta di Cento Volte Forte.
E solo allora, proclamare ad alta voce un liberatorio “mare aspettaci, stiamo arrivando!”.