“Cercare di comprendere, o anche solo di accettare, quel che non si capisce è una delle poche strade per far emergere le qualità che neanche si sa di avere”. Certo, detto in questi termini, il principio appare lineare: tanto da sembrare semplice anche da applicare. In realtà non lo è affatto: basta riconoscere quante volte ci si è trovati in una situazione tanto aggrovigliata da sentirsi affondare, come in una pozza di sabbie mobili, senza via d’uscita; oppure di fronte a qualcuno che, per divergenza di stati d’animo e obbiettivi, si è sentito distante, tenuto lontano da una barriera d’incomunicabilità. Ecco, in questi casi, per facilitare lo “sblocco” spesso serve un “lubrificante”: l’intervento mediatore di una figura terza; o parole di saggezza raccolte leggendo un libro; o semplicemente la facoltà distensiva di un “fattore tranquillizzante”: come una chiacchierata a tavola, come una bevuta capace, nella sua semplicità, di costruire un terreno condiviso e di accorciare le differenze dei linguaggi.
Ecco, nella nostra “visione” della birra, questa funzione spetta alle tipologie capaci, appunto per la loro semplicità, di scavalcare steccati e infrangere barriere; come la British Golden Ale, un’alta fermentazione tutto sommato moderna (coniata nel 1986) che richiama fortemente l’essenzialità delle “storiche” basse fermentazioni: e che perciò è in grado di accomunare, nella simpatia verso il suo “modo di essere”, generazioni anche molto diverse. Non a caso, nella gamma del “Forte” la Gassa d’Amante, la nostra Golden Ale da 4.5 gradi, è la “pinta” che ci piace proporre quale “compagnia” per momenti di confronto, ad esempio il dialogo tra un genitore e uno dei propri figli. Gioviale e rilassante, è la sorsata che facilita il saper mettersi nei panni altrui; o anche il saper vedere la propria condizione da un punto di vista diverso e meno coinvolto.
Ad esempio con il filtro provvidenziale di un filo d’ironia… La stessa che attraversa la scrittura di un romanziere italiano come Diego De Silva; specie nel suo volume dal titolo “Non avevo capito niente”. Titolo d’esordio della serie ruotante attorno al personaggio dell’avvocato Vincenzo Malinconico, ne inquadra, strappando più d’una risata – grazie, fra l’altro, alle sue massime di filosofo dalla vena comica (e un po’ caustica) – l’identikit di antieroe, alle prese con l’assurdità del vivere collettivo odierno e con l’accanimento di una fortuna dispettosa, a tratti matrigna. Una figura conscia della propria esistenza tra luci e ombre; che apprende, o meglio constata, come i “labirinti” nei quali spesso capita di trovarsi possano rivelarsi, magari, dei percorsi personali lungo i quali è stata la propria “angolazione” abituale a porre in una posizione per cui… “non si era capito niente”. Un uomo, Vincenzo, che, cambiando l’ottica, riscopre i suoi talenti e ne scopre di nuovi. È, la sua storia, un racconto in cui ci s’immedesima facilmente; e attraverso il quale, altrettanto facilmente, ci si lascia contagiare dal virus benedetto dell’autoironia. Tanto più avendo accanto, per sorseggiare, una fedele scorta di “Gassa d’Amante”.